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PANORAMA
16/1/2006
Tutte le anime dei Ds
di Renzo Rosati e Giovanni Fasanella

Fassino e il mondo Fiat, Burlando e i petrolieri genovesi, Bassolino e il «partito campano». Nell'ex Pci contano sempre più i rapporti con le realtà economiche locali. »

Seriamente ammaccato, o almeno ridimensionato il collateralismo, quel rapporto che legava come un cordone ombelicale i Ds al retroterra delle cooperative rosse, e che tanti sfracelli ha prodotto con la vicenda Unipol-Bnl, ecco che avanza per i postcomunisti il modello vincente: il trasversalismo ecumenico fatto di buoni rapporti con i poteri forti dell'economia, al di là del loro colore politico.
Il suo artefice è Walter Veltroni, sindaco di Roma e da molti indicato come futuro leader della sinistra attraverso il partito democratico. Così come simbolo del vecchio sistema è stato, fino a oggi, Massimo D'Alema.

Il leader Maximo ha difeso fino all'ultimo l'identità della Quercia, una sorta di aggiornato centralismo democratico che dell'intreccio con le coop e con industriali e finanzieri amici doveva essere il riferimento. Mentre Veltroni, e non da ora, teorizza lo scioglimento dell'identità diessina in un grande partito di sinistra all'americana in cui ricomporre tradizioni politiche e amicizie economiche un tempo conflittuali e antagoniste.
Oggi proprio il ruolo e i comportamenti del sindaco di Roma tornano sotto i riflettori. Ha sì difeso D'Alema e il segretario Piero Fassino dagli attacchi esterni, ma ne ha anche preso le distanze criticandone «l'eccesso di tifo» per Giovanni Consorte e soci. Ma soprattutto si è rafforzato nell'immaginario come unico leader capace di tenere assieme i diessini ed evitare la diaspora degli scontenti; mentre dal di fuori continuano a piovere le investiture dell'establishment. Dopo quella ufficiale di Carlo De Benedetti, che lo ha proposto assieme a Francesco Rutelli quale futuro capo del centrosinistra, ecco ora la simpatia, magari interessata, di quegli stessi salotti buoni, da Marco Tronchetti Provera a Luca di Montezemolo fino a Diego Della Valle, che hanno alimentato la guerra contro il vertice diessino.
Le disavventure di Consorte ed Emilio Gnutti e dei loro interlocutori nel Botteghino parrebbero accelerare questa operazione. Si modifica la mappa dei rapporti esterni tra Quercia e potentati finanziari; si ricompone anche su nuove basi l'intera geografia politica interna. Ecco come va aggiornata; partendo proprio da Roma.
Veltroni ha annunciato che tra cinque anni, se ad aprile sarà rieletto al Campidoglio, si ritirerà dalla politica. Nessuno lo prende sul serio. D'altra parte il sistema di relazioni che ha costruito intorno a sé gli ha portato un consenso quasi plebiscitario, a sentire i sondaggisti. L'80 per cento dell'opinione pubblica dichiara di apprezzarlo. Ma poi ci sono i circoli di potere. Veltroni ha firmato il piano regolatore della città, il primo dopo 50 anni: con ciò ha conquistato la lobby dei costruttori, in passato in perenne guerra al proprio interno e con i politici.
Due di loro, Francesco Gaetano Caltagirone e Domenico Bonifaci, sono anche editori degli storici quotidiani romani, Il Messaggero e Il Tempo.

Caltagirone è poi considerato in questo momento l'uomo più liquido d'Italia, con 1 miliardo di euro cash da investire. Ha ambizioni non nascoste di banchiere, azionista strategico del Monte dei Paschi di Siena; ed essendo stato tra i soci della Bnl, a metà tra patto e scalatori, è uscito comunque al momento giusto. Come editore vuole espandersi al Nord, ma sempre al momento giusto, in piena scalata di Stefano Ricucci, è uscito dalla Rcs Mediagroup, editrice del Corriere della sera. Insomma, per Veltroni un alleato strategico. E adesso, con la sponsorizzazione di De Benedetti, all'appoggio del Messaggero e del Tempo si aggiunge quello ben più consistente della Repubblica e del gruppo Espresso, con tutti i suoi quotidiani locali.

La macchina da guerra veltroniana ha travolto i vecchi steccati di partiti e correnti. Sono dalla sua parte Goffredo Bettini, ex proconsole di D'Alema nella capitale, ma anche Piero Marrazzo, già socialista, eletto alla presidenza della Regione.
Una compattezza politica e istituzionale che garantisce il controllo delle potenti municipalizzate capitoline, dall'Acea di Fabiano Fabiani alla Sta (mobilità e parcheggi) di Chicco Testa, ma anche il feeling con la Camera di commercio (la prima d'Europa) di Andrea Mondello e con la Confindustria Lazio di Giancarlo Elia Valori, e le relative alleanze nell'Auditorium, nella Fiera di Roma, in Cinecittà, i veri motori dell'economia della capitale.

L'influenza veltroniana si sta ora espandendo in Toscana, storica regione rossa anche per gli interessi finanziari. Dalla sconfitta dell'Unipol di Consorte, il Monte dei Paschi, fautore di una strategia opposta, è uscito quasi da trionfatore. Ma a Siena è forte il potere di Franco Bassanini, storicamente legato a Carlo Azeglio Ciampi e nella geografia del Botteghino sempre più vicino a Veltroni. Assieme alle mosse future del Mps, molti scrutano quelle di Leonardo Domenici, sindaco di Firenze di origine dalemiana. Ora però Domenici ha stabilito un eccellente rapporto con Della Valle, da due anni patron della Fiorentina e soprattutto, come azionista storico della Bnl, strenuo nemico di Consorte e dei suoi sponsor. Le attenzioni maggiori si concentrano tuttavia su Turiddo Campaini (articolo a pagina 56), da trent'anni presidente dell'Unicoop Firenze e appena nominato numero uno della Finsoe, la finanziaria che controlla l'Unipol.
In passato le coop toscane si erano contrapposte per potere e influenza a quelle emiliane, sempre risultando sconfitte. Fino alla scalata di Consorte, anche quella inutilmente contrastata. Ora l'ascesa di Campaini sembra preludere non solo a un commissariamento dell'Unipol, ma a un ribaltamento di rapporti di forza ai danni di quel mondo cooperativo di Bologna e dintorni che è il riferimento di D'Alema e di Pier Luigi Bersani, nonché di Fassino.

Dunque proprio attraverso le coop il potere veltroniano va a insidiare quello degli attuali vertici dei Ds nella loro storica roccaforte. Fu tra l'altro l'Emilia-Romagna, oggi governata da Vasco Errani, nel '94, a fornire a D'Alema le truppe e i mezzi per rovesciare a proprio favore la battaglia per l'ascesa alla segreteria del partito. Mentre è stato Bersani, prima come presidente della regione poi come ministro dell'Industria, a costruire una rete di rapporti che oltre alle cooperative comprende banche come la Agricola mantovana e gruppi industriali come quello dell'imprenditore siderurgico Steno Marcegaglia.
Rapporti che dunque tendono a estendersi alla Lombardia: come quello con Marcellino Gavio, azionista dell'autostrada Serravalle, che da Bersani viene messo in contatto con il presidente della Provincia di Milano, Filippo Penati, per trattare la cessione del suo 15 per cento della società. Eppure Penati e Gavio erano entrambi già i soci della Serravalle. Certo, D'Alema conserva un'influenza forte in altre aree: Liguria, Puglia e Basilicata su tutte.

A Genova, il presidente della Regione, Claudio Burlando, un dalemiano della primissima ora, ha costruito una solida alleanza con il mondo degli armatori, dei petrolieri e degli operatori portuali. Un settore strategico e in ascesa nel quale spiccano nomi come Riccardo Garrone, Aldo Spinelli e Paolo Vitelli. In Puglia, l'egemonia dalemiana è rimasta intatta nel mondo bancario (la Banca 121, ex del Salento, controllata dal Monte dei Paschi, è dissidente rispetto alle direttive senesi) e in quello imprenditoriale, con la dinastia dei Divella, gli storici pastai, con Gianfranco Dioguardi (docente al Politecnico di Bari e uomo della Confindustria), nonché con l'ex Acquedotto Pugliese, oggi Acquedotto Lucano.
Quasi per paradosso, a pretendere il cambiamento del nome per l'azienda che dalla Basilicata porta l'acqua alla Puglia, una delle principali società pubbliche italiane, è stato un altro potentissimo dalemiano: Filippo Bubbico, ex governatore lucano, oggi presidente del consiglio regionale. Oltre a registrare tra tutte le regioni italiane la maggiore percentuale di consensi per il centrosinistra (più di Emilia-Romagna e Toscana), la Basilicata è strategica essendo ricca di petrolio, e dunque meta ambita per investimenti italiani e stranieri, dalla Fiat di Melfi all'industria del salotto. Da qui i rapporti tra Bubbico e l'Eni, e non solo.

In questa mappa delle relazioni diessine con il potere economico, due casi a parte sono quelli della Campania e del Piemonte. A Napoli, Antonio Bassolino, prima come sindaco poi come governatore, da sempre con ambizioni nazionali, sta tentando di realizzare un proprio personale modello. Mettendo d'accordo, per esempio, le grandi imprese di infrastrutture ambientali (Impregilo in testa), dinastie di costruttori come i fratelli Giustino, big della distribuzione come Gianni Punzo, presidente del Cis di Nola, e il mondo accademico che ruota principalmente intorno alla sanità. Finora, dovendosela anche vedere con le continue rivolte della popolazione, non ha avuto molto successo e si è attirato anche dall'interno del partito accuse di sprechi e di eccessi nelle consulenze.
Diversa la situazione piemontese. Governato dal sindaco di Torino, Sergio Chiamparino, e dal presidente della Regione, Mercedes Bresso, il Piemonte è in questo momento quasi a metà strada tra Veltroni e D'Alema. A dare retta agli schemi tradizionali, Chiamparino viene dall'area liberal della Quercia, la stessa di Franco Debenedetti e Claudio Petruccioli, poi sponsorizzato da Fassino ma anche, da sempre, in sintonia con il progetto di partito democratico di Veltroni. Bresso, ex europarlamentare, ha un imprinting dalemiano-fassiniano. Entrambi, però, rappresentano l'ala più pragmatica dei diessini, da sempre in conflitto con l'ala massimalista e girotondina.

In trincea per difendere il progetto dell'alta velocità, Chiamparino e Bresso hanno stabilito relazioni eccellenti con la Fiat di Luca di Montezemolo, dalla quale hanno acquistato, come enti locali, parte dell'area industriale di Mirafiori. Un progetto coltivato da anni dalla famiglia Agnelli e coronato alla vigilia di Natale. Ma i rapporti sono ottimi anche con l'altro potentato torinese, il Sanpaolo Imi (presente a sua volta nella Fiat), il cui presidente Enrico Salza è stato tra gli sponsor dell'elezione sia di Chiamparino sia della Bresso.
Il passaggio dal collateralismo dalemiano al trasversalismo veltroniano dovrà però affrontare la verifica elettorale. Se D'Alema e Fassino ne usciranno ridimensionati o sconfitti, la trasformazione si completerà e Veltroni e il suo modello non avranno più avversari.

Al contrario, se i vertici attuali passeranno indenni dal voto del 9 aprile, il risultato sarà opposto. E molti giurano che sarà il leader Maximo a prendersi la rivincita. Anche sui poteri forti. Non a caso, ha annunciato, tra le priorità della propria agenda c'è l'intenzione di porre un limite alla presenza delle banche nei giornali.




INES TABUSSO