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LA REPUBBLICA
29 marzo 2006
L´errore del buonismo in campagna elettorale
CLAUDIO RINALDI

Abbassare i toni della campagna elettorale? Gustave Le Bon, autore nel 1895 del celebre pamphlet "Psychologie des foules", lo sconsigliava caldissimamente. «Quanto al candidato avversario», scrisse, «si tenterà di schiacciarlo dimostrando che è l´ultimo dei farabutti, che nessuno ignora i suoi molteplici delitti». Demonizzazione allo stato puro. Nell´Italia di oggi Le Bon ha un seguace pieno di zelo in Silvio Berlusconi, che in polemica con l´Unione non esita a evocare gli spettri più raccapriccianti: come i bambini cinesi che i comunisti, secondo lui, facevano bollire in chissà quali pentole per ricavarne del concime. Romano Prodi, per fortuna, si astiene da simili bestialità, e quando viene coperto di insulti reagisce con un garbato richiamo alla pratica della carità cristiana. Ma oltre che elegante, e coerente con lo slogan della serietà al governo, la sua scelta di non lasciarsi coinvolgere nelle risse più sguaiate può risultare anche vincente? Forse. A una condizione, però: che non si trasformi in una rischiosa tattica del silenzio a tutti i costi, nella rinuncia cioè a respingere le calunnie di Berlusconi con senso della misura, sì, ma pure con fermezza. Se per mesi il centro-sinistra ha commesso l´errore di non denunciare con abbastanza forza il fallimento del berlusconiano Contratto con gli italiani, non per questo nei giorni a ridosso del voto deve ricadere nel medesimo eccesso di signorilità. Sono molti, infatti, i temi chiave sui quali una decisa controffensiva appare non soltanto possibile ma necessaria. Si tratta, nell´esclusivo interesse dei cittadini, di ricordare alcune semplici ma importanti verità.
FISCO. Contro le insinuazioni sulle presunte stangate che avrebbe in animo di assestare ai contribuenti, Prodi per ora sta alzando un sobrio muro di smentite. È una risposta ovvia, un atto dovuto. Preliminarmente, tuttavia, farebbe bene a rivolgersi a Berlusconi in termini più rozzi ma più efficaci. «Scusi, presidente, ma Lei è davvero l´ultimo a poter parlare di tasse. Cambi musica. Tutte le Sue promesse del 2001 sono state tradite: le aliquote dovevano ridursi a due e invece sono rimaste quattro, la più alta doveva scendere al 33 per cento e invece è tuttora inchiodata al 43»... E lo sbandierato «abbattimento della pressione fiscale»? Non c´è stato, nel migliore dei casi si è avuta una trascurabile limatura. Con che faccia chi ha ingannato per anni gli elettori osa adesso impancarsi a loro difensore?
SUCCESSIONI. Prodi viene messo in croce tutti i giorni anche per l´intenzione, lealmente dichiarata, di sottoporre a una qualche forma di imposizione la trasmissione in eredità dei grandi patrimoni. Ma perché non giocare pure qui in contropiede? A smantellare la tassa di successione è stato il centro-sinistra, non Berlusconi: nel 2001 il governo Amato non si limitò ad abolirla per la stragrande maggioranza dei contribuenti, ma per i pochi che vi rimanevano assoggettati cancellò la vecchia aliquota massima del 27 per cento abbattendola a un modestissimo 8 per cento. Il successivo intervento del governo Berlusconi non è stato che una regalia a quei pochi. I quali, a partire dal premier in persona, sono stati irragionevolmente esentati da qualsiasi obbligo di solidarietà.
EURO. Forza Italia sostiene con veemenza che anni fa Prodi, da presidente del Consiglio, svendette la lira all´euro accettando un rapporto di conversione non favorevole. Ma, a parte il fatto che la totalità degli esperti considera penosamente assurdo il cambio di 1.500 lire per un euro che da destra a posteriori si pretende di indicare come giusto, sarebbe facile rinfacciare a Berlusconi che all´epoca della decisione né lui né i suoi espressero il benché minimo dubbio sul cambio fissato a 1936,27 lire. Indecoroso è invece che la Casa delle libertà, oggi, ospiti ufficialmente al proprio interno un fantomatico comitato No euro: non esiste al mondo un solo altro caso in cui il capo del governo vada alle elezioni alleandosi con i nemici della moneta nazionale. Che cosa si aspetta a stigmatizzarlo?
NUCLEARE. Da un po´ di tempo Berlusconi si è messo a perorare la causa del ritorno all´energia nucleare; con il sottinteso che a suo tempo fu la sinistra, colpevolmente, a imporne l´abbandono. Ma non andò così. Il vero sponsor del referendum contro il nucleare, nel 1987, fu il Psi di Bettino Craxi, amico e supertifoso del Cavaliere nonché anticomunista di ferro; e il signor Fininvest non se ne dissociò. Quando se ne presenta l´occasione quell´antica complicità, tuttora imbarazzante, andrebbe rievocata. Per esempio: ogni volta che Berlusconi si scaglia contro la falce e il martello, da lui visti come l´emblema del Male assoluto, si potrebbe ribattergli che perfino il moderatissimo Craxi, diventato segretario del Psi dal 1976, si tenne i due storici utensili nel simbolo del partito fino al 1984, cioè per otto lunghi anni.
IRAQ. Negli ultimi mesi i big del centro-sinistra, che pure in Parlamento hanno sempre votato per il taglio dei fondi alla spedizione di Nassiriya, sono diventati stranamente prudenti: parlano ancora di ritiro delle truppe dall´Iraq, certo, ma non più immediato; sono per un disimpegno graduale. Proprio come il premier, che ha promesso di riportare tutti a casa entro Natale. Ma che senso ha questo tardivo allineamento? E perché non accompagnarlo, almeno, con un giudizio chiaro sulla guerra e sull´occupazione militare, le due fasi di un´operazione disastrosa nella quale l´Italia è stata coinvolta senza motivo e senza possibile giovamento? Perché lasciare che Berlusconi tessa indisturbato le lodi della sua vacua politica estera, anziché rimproverargli l´appoggio dato a un´impresa che gli stessi americani ormai ritengono catastrofica? Va bene tenere bassi i toni della campagna, va bene far sì che sia il solo Berlusconi a prendere alla lettera i consigli estremi del vecchio Le Bon; ma ci sarà pure una via di mezzo fra la sbracata criminalizzazione del Cavaliere e la sacrosanta, insopprimibile esigenza di metterlo in cattiva luce davanti agli elettori. Nessuno ha mai vinto le elezioni senza colpire l´avversario nei suoi punti deboli.


INES TABUSSO