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"Non c'è sondaggista che nutra dubbi. Walter Veltroni appare la carta migliore che il centrosinistra possa spendere per guidare il Partito democratico e del resto l'opinione pubblica progressista lo ha largamente indicato, e non da oggi, come il leader preferito da opporre alla destra. Il sindaco di Roma è considerato un solido riformista, ma gode di consensi anche presso l'ala più radicale dello schieramento progressista e stando ai risultati che ha conseguito nelle elezioni capitoline può legittimamente sperare di sottrarre voti alla coalizione avversaria, contando magari sul favore di parte dell'elettorato cattolico".
(Dario Di Vico, Corriere della Sera, 21 giugno 2007)
www.corriere.it/Primo_Piano/Editoriali/2007/06_Giugno/21/veltroni_divico_pro...




Allora non è solo il Polo a non volerti più in tv.
«Scherzi? Dopo quella puntata famosa di Satyricon, Veltroni mandò un emissario alla mia regista per dire che, se non la smettevamo di fare casino, ci chiudevano loro».
(Daniele Luttazzi intervistato da Marco Travaglio, "La Repubblica", cronaca di Torino, 8 novembre 2001)*






*TUTTO IL TESTO DELL'INTERVISTA:

Con la tv ha chiuso, «per la gioia di Berlusconi e Veltroni». Non gli resta che il teatro. Ma non è detto che sia una disgrazia. Anzi. Lui, Daniele Luttazzi, da domani sera fino a domenica al teatro Colosseo di Torino, si diverte più di prima: «In teatro posso sfogarmi quasi ogni sera, anziché una volta a settimana. Senza il classico funzionario Rai a spiarti nascosto dietro le quinte. E senza il rischio di sospensione del programma alla prima parolaccia o al primo slip che vola». E poi i libri: quello uscito in estate per Mondadori, «Satyricon», e quello nuovo, ancora in gestazione, che dovrebbe uscire a Natale per Feltrinelli.
Titolo provvisorio?
«"Lesbiche e vampiri a Gomorra". Una cosina tranquilla, descrittiva dell'Italia di oggi».
Com'è il nuovo spettacolo «Luttazzi Satyricon»?
«È partito due settimane fa da Lugano, a giudicare dalle primissime accoglienze, è una bomba. Alla dogana gli svizzeri, tra foto e autografi, non mi lasciavano più andare via. Ora molto dipenderà dalla reazione del pubblico torinese».
Perché?
«Perché per me Torino è la cartina al tornasole della riuscita di uno spettacolo. Se supero la prova Torino, vado tranquillo in tutto il resto d'Italia. Infatti sono sempre partito da Torino, anche per le altre tournèe».
Perché, cos'hanno di speciale i torinesi?
«E che ne so. Quel che so è che sono un pubblico particolarmente congeniale al mio genere di umorismo. Mi càpita anche, ma in misura minore, con Cagliari, di La Spezia, di Genova e di Bologna. Non so perché. Ma mi regolo così: se qualcosa non piace ai torinesi, mi domando dove ho sbagliato. E cambio».
Com'è strutturato lo show?
«Come il catechismo di Pio X: domande e risposte. Le domande sono quelle che mi fa la gente che mi scrive, su questo o quel fatto di attualità. Le risposte le do io. Una struttura molto agile, che mi consente di inserire ogni sera quel che accade fino a un minuto prima di andare in scena».
Quanto sesso e quanta politica?
«Molta più politica e molto meno sesso del solito. Diciamo 80 per cento contro 20».
Da dove parte, il catechismo?
«Da quella puntata di Satyricon là, tu dovresti ricordarti qualcosa. E da tutto il casino che è successo dopo, in campagna elettorale. Poi le elezioni, il governo, i primi cento giorni. E i ministri, meravigliosi: li passo in rassegna uno a uno. E poi le leggi contro la giustizia, un conflitto d'interessi al giorno».
Berlusconi, insomma, domina.
«Fornisce materiale ogni giorno, ogni ora, ogni minuto. Una volta faceva una marachella e non se ne accorgeva nessuno. Ora l'Europa ci tiene d'occhio, e non gliene fa passare una liscia. Lui, poveretto, non è abituato. Così s'è inventato questa storia del complotto planetario: lui parla e tutto il mondo fa apposta a fraintenderlo. Favoloso, irresistibile».
La battuta più cattiva?
«Berlusconi ha promesso: "Farò una legge sul conflitto d'interessi e la rispetterò". Meno male, credevo che non volesse rispettare neanche le leggi che si fa da solo».
E sulla sinistra?
«Ce n'è anche per la sinistra, non ti preoccupare. Non l'ho mai risparmiata. Nei cinque anni passati c'erano vignettisti, autori e attori satirici disperati, perché sapendo sparare soltanto a senso unico, avevano perso la vena. Sotto sotto, speravano nel ritorno di Berlusconi per ricominciare a mordere. Io no, io prendo spunto dalle cose che succedono, e sparo. La mia satira è antisistema, antiregime, antiideologica. Non per nulla Rutelli ha rifiutato di venire mio ospite, esattamente come Berlusconi: sapeva che avrei fatto certe domandine anche a lui».
Con chi te la prendi, stavolta, a sinistra?
«Un po' tutti, e non sai con quanto gusto. Rutelli, D'Alema, Veltroni. Ma ho delle battute bellissime su Fassino e Violante. I miei preferiti».
Siamo a Torino: un pensierino per Agnelli?
«Non mancherà. Ricorderò le sue memorabili uscite in campagna elettorale. E gli affaroni fatti subito dopo. Nulla resterà impunito».
Il pubblico come reagisce?
«L'idea di sentire l'altra versione, diversa e opposta da quella dei vari tg, anzi del Tg Nazionale Unico che va in onda su tutte le reti pubbliche e private, non dispiace. Il teatro diventa l'agorà, io traggo energia dal pubblico e il pubblico da me».
Fai sempre il tutto esaurito?
«Sì, ma dai tempi di Mai dire gol. Quel che è cambiato, dopo Satyricon, però, è cambiato il tipo di applauso. Che ora va oltre la battuta, oltre lo spettacolo. È una testimonianza».
Contestazioni?
«Finora no. Ma le contestazioni, di solito, sono organizzate. Aspetto di vedere che succede a Milano, in febbraio».
Parli anche della guerra, ovviamente.
«New York è la mia seconda città. Ci ho passato tutta l'estate. E, se non fosse stato per tutti i processi che ci ha intentato Berlusconi, sarei stato là anche l'11 settembre».
Il tuo pubblico si aspetta un Luttazzi pacifista.
«E allora si troverà spiazzato. Perché sono pacifista, ma non fesso. E oggi i pacifisti cadono nel tranello di Bin Laden, il quale vuole farci credere che la guerra la sta facendo l'America. No, la guerra l'ha fatta lui. E se lui viene nella mia città e mi stermina 56000 persone, io vado a casa sua e gli faccio male. Lui e i suoi amici, in questi giorni, hanno quel che si meritano. Spero solo che gli americani facciano presto e ottengano i risultati sperati. Sono molto pragmatico, mica come Berlusconi e Ferrara, che strumentalizzano i morti di New York perché il Polo, con le figuracce che ha fatto, deve riprendersi le piazze».
Si può ridere della guerra?
«Non è della guerra che rido. Non faccio battute macabre sui morti. Ma anche in situazioni tragiche ci sono punti di vista, fatti, frasi irresistibilmente ridicole. La tragedia umana è sempre un miscuglio di riso e di pianto».
Ti manca la tv?
«Avevo già deciso di prendermi un anno di pausa. Ma poi, con tutto quel che succede, mi sarebbe piaciuto restare. Comunque è impossibile. Sono tornato in Rai qualche settimana fa a trovare i vecchi amici. Non ne ho più trovati: fanno tutti finta di non conoscermi. Poi ogni tanto mi arriva qualche voce di corridoio, di seconda mano...».
Per dirti che cosa?
«Che si sente la mancanza di qualcosa di vero, di spiazzante, di non paraculo. Che manchi Satyricon? Qualche snob della sinistra diceva, ancora nell'ultima campagna elettorale, che in fondo la tv non è così importante: allora mi devono spiegare perché il sistema non può tollerare nemmeno 50 minuti di tv libera alla settimana».
Allora non è solo il Polo a non volerti più in tv.
«Scherzi? Dopo quella puntata famosa di Satyricon, Veltroni mandò un emissario alla mia regista per dire che, se non la smettevamo di fare casino, ci chiudevano loro».




INES TABUSSO